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Di seguito la versione estesa dell’articolo apparso su Milano Finanza del 20 novembre 2021, a firma del dott. Antonio Rigon, amministratore delegato Sinloc SpA: “I buoni esempi europei per spendere bene il PNRR”.

Tempo fa segnalai su questo giornale, con dati ed alcune metafore, le criticità della gestione nazionale dei Fondi Strutturali Europei. I dati più recenti pubblicati dall’Agenzia per la Coesione territoriale e dalla Corte dei Conti UE segnalano miglioramenti, ma il quadro è ancora poco rassicurante tant’è che al 30 settembre 2021 risulta speso solo il 43,5% delle risorse previste dalla programmazione europea 2014-2020 (circa 27 miliardi di Euro). L’Unione europea permetterà un ritardo di 3 anni, nella rendicontazione finale delle spese e probabilmente alla fine, come avvenuto nella programmazione passata (2007-2013) il gap tra fondi assegnati e spesi e rendicontati risulterà relativamente modesto. Sappiamo però tutti che le spese fatte in fretta per recuperare nei tempi supplementari un ritardo sono spesso di modesta qualità e scarso impatto; inoltre, spendere in ritardo vuol dire posporre nel tempo lo stimolo economico e l’impatto sociale che i progetti finanziati possono avere su un Paese che ne ha invece grande necessità.
È sempre però cosa saggia ed oggi credo necessaria, guardare al passato non per stendere pagelle, ma piuttosto per migliorare l’azione futura e, nello specifico, utilizzare con maggiore efficacia e rapidità le grandi disponibilità del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), pari a circa 191,5 miliardi di Euro, cui si aggiungono gli oltre 30 miliardi di Euro del Piano per gli investimenti complementari al PNRR, i circa 83 miliardi di Euro a valere sui Fondi SIE della programmazione 2021-2027, e infine altri 13,5 miliardi del programma React-EU.

Nel prossimo futuro l’Italia, come il resto del mondo, dovrà affrontare alcune grandi transizioni (energetica, digitale, ecologica, demografica, ecc.); si tratta di fenomeni che cambieranno i paradigmi tradizionali su cui nel tempo si è incardinato lo sviluppo economico, la produttività e la coesione sociale e che rappresentano grandi sfide, ma anche grandi opportunità. Abbiamo oggi eccezionali risorse finanziarie, proprio nel momento in cui il capitale “antico” in termini di tecnologie, settori, infrastrutture, ecc., perderà valore e produttività, mentre il capitale “nuovo” è, per lo meno in parte, ancora da sviluppare e consolidare. Sta iniziando una partita nuova in cui i ritardi degli ultimi 30 anni potranno forse costituire un impedimento meno vincolante allo sviluppo del Paese. Inoltre possiamo disporre di molte risorse per investire nei nuovi settori che definiranno nel futuro vantaggi competitivi e opportunità di crescita. Pur con questa visione positiva, dobbiamo però ricordare che c’è una legacy negativa che emerge dalla passata esperienza di utilizzo dei fondi europei e che non ha a che fare con tecnologie, settori e produttività tradizionale, ma con la capacità realizzativa; se questa rimarrà modesta, anche i risultati del PNRR saranno tali, indipendentemente dal fatto che oggi si giochi una partita diversa e la si inizi con una buona dotazione di risorse finanziarie.

Senza un progetto ben caratterizzato, sostenibile e robusto rispetto agli imprevisti futuri, le risorse finanziarie rischiano di essere acqua buttata sulla pietra che scorrerà a valle senza avere creato vita e ricchezza, ma anzi spesso solo inondazioni. Questa consapevolezza è oggi cresciuta nel Paese e l’Europa, come ha già dimostrato nelle scorse settimane, ne verificherà l’applicazione in modo perentorio prima di liberare e confermare le disponibilità del PNRR, peraltro con una attenzione in più collegata alla misurazione e valutazione dell’impatto.

Per migliorare questa capacità realizzativa credo siano importanti alcune esperienze che possiamo trarre dall’interazione con le istituzioni Europee, che non sono né l’Eden né la panacea di tutti i mali, ma spesso hanno dimostrato innovazione, pragmatismo e di saper creare un contesto favorevole alla capacità realizzativa. Mi riferisco in particolare alle piattaforme di assistenza tecnica e all’utilizzo degli strumenti finanziari per la messa a terra dei programmi.

La prassi nazionale prevalente è quella di finanziare singolarmente, e in modo parcellizzato, la strutturazione, tecnica, economica e gestionale, di una miriade di progetti, senza creare alcuna comunicazione tra loro, se non a livello burocratico negli apparati autorizzativi e di pianificazione e controllo della pubblica amministrazione. Inoltre, vi è spesso una sistematica sottovalutazione del valore di un efficace project management assegnato a specialisti competenti e responsabilizzati.

Nell’esperienza Europea invece, come nel caso dei Progetti Elena sostenuti e sviluppati anche in Italia dalla BEI, ovvero nel caso di grandi call Horizon come per esempio Nesoi, l’attività di assistenza tecnica di un insieme di molti potenziali progetti viene assegnata a una cordata, selezionata per gara, di aziende private, esperte ognuna nel proprio campo, ma complementari rispetto allo sviluppo complessivo dell’assistenza al progetto. Il tutto in una logica di efficace allocazione di rischi e responsabilità tra pubblico e privato. A questi raggruppamenti di imprese non si assegna, peraltro, solo il compito di fare buoni progetti, ma anche quello di raccogliere e selezionare le idee progettuali dei territori e accompagnare i progetti con efficienza ed efficacia.
Con questa modalità raggruppamenti di specialisti fortemente responsabilizzati e concretamente accountable sui risultati sviluppano simultaneamente molti progetti, garantendo economie di scala, economie di scopo e un trasferimento veloce delle buone pratiche e delle innovazioni nelle soluzioni operative e organizzative. Si ottengono di solito, in tempi relativamente rapidi, progetti robusti e ben strutturati. Spesso, peraltro, si inseriscono modalità affinché, nella realizzazione dell’assistenza tecnica, si coinvolgano anche competenze presenti sul territorio per farle crescere e valorizzare le sensibilità locali. Faccio solo alcuni esempi: in questi anni le piattaforme Elena attivate e finanziate dalla BEI hanno permesso la realizzazione di oltre 515 milioni di Euro di investimenti nell’illuminazione pubblica e nell’efficientamento energetico di strutture pubbliche locali in tanti territori italiani, utilizzando meno di 2 milioni di Euro di risorse pubbliche nazionali.

La piattaforma Nesoi, attivata dall’Unione Europea e operativamente gestita da un raggruppamento europeo guidato da un’azienda italiana, ha identificato e selezionato nei suoi primi 20 mesi di attività 42 progetti di transizione energetica in isole europee a cui si sta dando assistenza tecnica specialistica del valore di 4,8 milioni di Euro e completerà l’assistenza tecnica entro l’estate del 2022. A breve saranno selezionati altri circa 12 progetti e si ritiene oggi che grazie al programma Nesoi, utilizzando i 6 milioni di Euro di risorse europee messe a disposizione, si attiverà nel lungo periodo quasi un miliardo di Euro di investimenti a fronte dei 400 milioni inizialmente previsti.

Il secondo strumento che potremmo “copiare” di più dall’Europa è l’utilizzo dei cosiddetti “strumenti finanziari” per calare a terra le risorse comunitarie. In altri termini, una volta che una Regione un Ministero hanno individuato le priorità e assegnato le risorse ad un ambito di intervento, in coerenza con le Missioni/ Componenti/Misure del PNRR, potrebbero assegnarne almeno una parte ad un’istituzione pubblica specializzata, in Europa si usa la BEI, affinché definisca uno o più fondi da assegnare per gara a dei gestori privati, dotati di adeguate capacità finanziarie ma anche tecniche e operative. Questi ultimi dovranno recepire in modo attivo le progettualità dei territori, selezionarle secondo le priorità date in origine attraverso un operational agreement, contribuire a caratterizzarli al meglio e finanziarli, generalmente in logica rotativa. Gli stessi gestori del fondi e i loro advisor tecnici saranno poi impegnati a verificare o sviluppo ed esecuzione dei progetti, rendendosi garanti verso il pubblico di una diligente attività di accompagnamento, stimolo e verifica degli stessi.

Inutile nascondersi che l’utilizzo di questi Fondi in Italia, di cui i Fondi Jessica promossi dalla BEI sono stati un esempio, non è facile, date le complessità e incoerenze del quadro regolamentare e un atteggiamento non sempre cooperativo della parte meno lungimirante della burocrazia e della politica per motivazioni non sempre esaltanti. Non di meno, anche in Italia questi strumenti hanno avuto successo come testimoniano il Fondo Jessica in Sardegna e il Fondo StudioSiche in poco tempo sta permettendo a circa 1.000 studenti, prevalentemente del Sud, di accedere con serenità economica e focalizzazione alla formazione specialistica universitaria.

Last but not least c’è un’altra cosa che possiamo imparare dall’Europa: smettiamola di usare a fondo perduto risorse per interventi in settori, quali ad esempio l’energia, deve il fondo perduto non serve o serve solo parzialmente e si possono più opportunamente realizzare le soluzioni con il partenariato pubblico privato e/o con fondi pubblici rotativi. Il fondo perduto dovrebbe essere riservato a destinazioni per le quali le soluzioni di mercato, il PPP ovvero anche il solo rientro nel tempo dei fondi, non sono sostenibili come gli interventi sociali, la residenzialità o certe destinazioni della sanità pubblica.

Se il Paese lavorerà assieme con positività, selezionando e avendo finalmente una classe dirigente responsabile e lungimirante ce la possiamo senz’altro fare, ce lo insegnano i nostri giovani che come vediamo nelle aziende sono veramente persone che si meritano un futuro migliore e spesso hanno proprio voglia di conquistarselo.